Xylella: emergenza o speculazione?

Margherita Ciervo, geografa

Riprendiamo un’altra testimonianza e intervento che abbiamo ascoltato all’assemblea nazionale di Conversano. In questo caso si parte dalla tanto propagandata “emergenza Xylella” per comprenderne le dinamiche speculative e quali scenari si prospettino per il territorio?

La “questione Xylella”, viziata da una sorta di “corto-circuito” fra scienza, informazione e politica oltre che da un processo pieno di ombre e contraddizioni (Ciervo, 2015), è stata caratterizzata fin dall’inizio dalla divergenza fra i fatti riscontrati e riscontrabili nello spazio reale e la rappresentazione dei fatti diffusa nello spazio mediatico. In quest’ultimo, associazioni di categoria e alcuni politici raccontano (a ritmo incessante) quanto devastante sia l’emergenza Xylella e l’avanzata galoppante dell’epidemia che nel 2019 sarebbe arrivata a infettare da 22 a 30 milioni di ulivi (a fronte degli 11 milioni di ulivi stimati nella provincia di Lecce e delle circa 5000 piante risultate a oggi positive al batterio) e che ognuno potrebbe “vedere” con i propri occhi semplicemente recandosi in Salento dove, già lungo la strada statale, si scorgono campi con ulivi disseccati. Già, gli ulivi disseccati! E’ proprio qui che risiede la sostanziale ambiguità sulla quale oramai poggia il costrutto dell’emergenza.

In realtà, il fenomeno che si osserva è il disseccamento, non la presenza del batterio. Quest’ultimo è rilevabile  esclusivamente attraverso un test molecolare. Del resto, in questi anni, in media, solo il 2% degli alberi analizzati è risultato positivo al batterio.  La maggior parte degli ulivi disseccati sono risultati negativi, così come sono diversi gli alberi asintomatici positivi al batterio. La mancanza di correlazione è attestata anche da pubblicazioni scientifiche (Krugner e altri, 2014; Scortichini e Cesari, 2019), così come alcuni studi scientifici (Scortichini e altri, 2018), programmi di ricerca (www.regionepuglia.it) e metodi empirici dimostrano ampiamente di poter ricondurre gli alberi disseccati (anche in presenza di Xylella) a un pieno stato vegetativo e produttivo.

E allora, perché gli alberi disseccano? Nel 2013, il disseccamento era stato attribuito a un insieme di concause come la presenza di funghi lignicoli e xilematici, del rodilegno giallo (  Zeuzera pyrina) – oltre che alla  Xylella fastidiosa ( Xf) - associata alla riduzione di cure agronomiche (come la mancanza di potatura) e alla salute del suolo. E’ indubbio che la risposta andrebbe ricercata nell’ambiente e nello stato delle matrici vitali (acqua, suolo, aria, biodiversità) essendo accertata, fra l’altro, la maggiore vulnerabilità alle malattie delle piante presenti in suoli trattati con prodotti chimici e, in particolare, con erbicidi (Kremer e altri, 2009), anche con riferimento specifico alla  Xylella (Joahl e Huber, 2009). Al riguardo, un’indicazione interessante si ricava dall’osservazione dei dati ISTAT sulla distribuzione dei fitofarmaci che mostrano in Salento, nel periodo 2003-2010, una overdose di erbicidi che nel 2007 – l’anno precedente alla manifestazione nota dei primi sintomi del disseccamento – nella provincia di Lecce ha toccato un livello ben più alto (5,36 kg per ettaro) rispetto a quello che nel 1974 (4,5 kg/ha) aveva causato, come accertato, il disseccamento degli ulivi (Ciervo, 2016a).

A fronte di questo, tuttavia, le istituzioni si sono concentrate in maniera pressoché esclusiva sull’eradicazione del batterio da quarantena e, nonostante la mancanza di evidenze scientifiche (con riferimento al batterio, alle piante ospiti e ai vettori) e di uno studio epidemiologico, hanno imposto misure di lotta – abbattimento delle piante infette e non, utilizzo cospicuo e diffuso di pesticidi neurotossici, divieto di piantumazione di piante ospiti del batterio – tanto devastanti quanto inefficaci, così come attestato dagli studi scientifici noti all’EFSA (2015) e confermato dall’evidenza empirica. Infatti, la realtà mostra e dimostra che i programmi di eradicazione, lì dove applicati (Puglia, Taiwan, Brasile, California, ecc.), non abbiamo fermato la  Xylella. Del resto i monitoraggi e le analisi, sulle quali si basano le ingiunzioni di abbattimento, sono risultate inattendibili se si considera, ad esempio, il caso dell’ulivo di Monopoli che, positivo al batterio secondo le analisi svolte nel dicembre 2018, in seguito al sequestro della Procura di Bari è stato accertato come negativo. Vale la pena ricordare che nella zona cuscinetto (nella quale ricade l’ulivo) la positività avrebbe comportato l’abbattimento di tutti gli ulivi e delle altre piante ospiti presenti nel raggio di 100 metri (ovvero su 3,14 ettari).

A tale gestione (definita dalla Procura di Lecce “pressapochista e negligente, con scarsa credibilità”) si è associata nel 2018 la deroga al divieto di reimpianto stabilita per due sole varietà - il Leccino (non autoctona e autosterile) e la FS-7 o “Favolosa” (brevettata dal CNR), entrambe adatte al superintensivo – e sostenuta da cospicui finanziamenti pubblici. Tuttavia, tale scelta risulta ambigua per diversi motivi: 1) non sembra esserci alcuna prova di resistenza (l’EFSA, 2017, indica il Leccino come cultivar tollerante e la Fastidiosa come cultivar con tratti di possibile resistenza); 2) non ci sono dati sul lungo periodo in termini di resistenza e produttività così come ben noto alla  Regione Puglia (DDS 591/2018); 3) ci sono prove di piante di  Leccino che disseccano; 4) la deroga non è stata concessa, inspiegabilmente, per la varietà Coratina che risulta meno interessata dall’infezione (Saponari e altri, 2016; Scortichini e Cesari, 2019).  Ma allora, p erché si impongono misure tanto devastanti e irreversibili quanto inefficaci? Perché non si sostengono strategie di cura delle piante?

In maniera laconica ci si limita ad osservare che la combinazione della dichiarazione di “emergenza Xylella”, delle misure di lotta al batterio e delle deroghe di cui sopra produce, come risultato, la “liberazione” del suolo dalla presenza di ulivi plurisecolari (cosa resa precedentemente impossibile dalle leggi nazionali e regionali a salvaguardia degli ulivi) - rendendolo disponibile per nuovi impieghi (oliveti superintensivi, monocolture per prodotti “biobased”, grandi impianti fotovoltaici, ecc.) - e del territorio da buona parte di quella economia locale “non competitiva” contraddistinta da piccoli appezzamenti a conduzione familiare e da produzioni a filiera corta - in una parola “fuori mercato” – a beneficio della diffusione di modelli  market-oriented (Ciervo, 2019).

Al riguardo, vale la pena richiamare il fatto che i sistemi olivicoli intensivi (fino a 700 piante per ettaro) e superintensivi (fino a 2.500 piante/ha) sono caratterizzati da un’alta intensità di input chimici (per il diserbo e la difesa dai patogeni) e idrici, nonché da una meccanizzazione spinta che riduce in maniera significativa il lavoro umano e “svuota” il territorio rurale dalle comunità contadine e dal presidio sociale ed ecologico delle campagne che rappresentano. Tuttavia, un sistema olivicolo competitivo – oltre al forte impatto ecologico - non significa maggiori benefici per l’economia locale (che diventa dipendente dal mercato) né per gli agricoltori (che divengono dipendenti a monte e a valle della filiera e, costretti a rinunciare ai prezzi più elevati della vendita diretta, più vulnerabili alla variabilità dei prezzi sui mercati all’ingrosso, già molto bassi). In realtà, ciò che sembra profilarsi all’orizzonte è un processo di riterritorializzazione di portata non solo storica - per la sostituzione di  ulivi plurisecolari con alberelli di qualche anno, di  piante singole con “pareti produttive”, di  varietà tradizionali con cultivar brevettate, associata alla  totale meccanizzazione – ma sistemica, nella misura in cui gli ulivi, a loro volta, potrebbero diventare  materia prima per l’industria della biomassa a scopi energetici. In effetti, gli impianti superintesivi potrebbero garantire quantità considerevoli e continue di biomassa per la sostituzione ciclica delle piante, avendo queste una vita economicamente produttiva stimata non superiore a 15 anni ( Ciervo, 2019).  Del resto, anche l’impiego del suolo con monocolture per la produzione di bioenergia e di materia prima per la  bio-based industry indicata dalla Commissione Europea (2012) come soluzione alla crisi industriale produrrebbe significativi effetti territoriali e rilevanti conseguenze sul piano geopolitico ( Ciervo, 2016b,  2018).
Tali scenari potrebbero essere scongiurati dalla presa di coscienza e consapevolezza dei contadini e, più in generale, della cittadinanza, e dalla crescita di una massa critica capace di affermare una visione che ponga  al centro il territorio e non il mercato e che produca una conversione radicale del sistema in cui l’integrità delle matrici vitali (acqua, suolo, aria, biodiversità), il diritto umano ai beni essenziali alla vita, nonché la garanzia della loro funzione sociale ed ecologica, diventino valori di riferimento non negoziabili al fine di assicurare equilibrio ecologico, equità sociale e sovranità popolare e sulla base dei quali organizzare il sistema di produzione.

 

Riferimenti bibliografici

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  • CIERVO M. (2016a), « The olive quick decline syndrome (OQDS) diffusion in Apulia Region: an apparent contradiction according to the agricultural model »,   Belgeo, Belgian Journal of Geography, 4 | 2016, ISSN: 2294-9135, mis en ligne le 30 juin 2017,  https://journals.openedition.org/belgeo/20290
  • CIERVO M. (2016b) “UE bio-based policy: a critical economic-geographical point of view”, in  Open Agriculture, 2016, vol. 1. pp. 131–143, ISSN 2391-9531, DOI 10.1515/opag-2016-0018,  https://www.degruyter.com/downloadpdf/j/opag.2016.1.issue-1/opag-2016-0018/opag-2016-0018.pdf
  • CIERVO M. (2018), “Innovating for sustainable growth. A bioeconomy for Europe. Un punto di vista geografico-economico critico”, in  Gnosis Rivista Italiana di Intelligence, fasc.3/2018, pp. 222-233.  https://www.researchgate.net/publication/329881230_Innovating_for_sustainable_growth_A_bioeconomy_for_Europe_Un_punto_di_vista_geografico-economico_critico
  • CIERVO M. (2019), “Le comunità locali e il processo di salvaguardia del territorio. Il caso del Salento durante e dopo la cosiddetta “emergenza  Xylella”, in Fabio Pollice, Giulia Urso, Federica Epifani,    Ripartire dal territorio. I limiti e le potenzialità di una pianificazione dal basso”, Placetelling. Collana di Studi Geografici sui luoghi e sulle loro rappresentazioni, Vol.2, Università del Salento, Lecce, pp. 139-154, 2019  http://siba-ese.unisalento.it/index.php/placetelling/article/view/20438/17302
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